La nostra analisi sulla Direttiva del Ministro Salvini

Direttiva Ministero Infrastrutture e trasporti su zone 30 km/h.

Analisi e prime riflessioni

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti ha recentemente presentato una bozza di Direttiva che disciplina le circostanze in cui i Comuni possono emettere ordinanze derogatorie al limite di velocità generale di 50 km/h nelle strade urbane. Questa iniziativa è stata oggetto di discussione, con il Ministro Matteo Salvini esprimendo disaccordo riguardo alla decisione dell’amministrazione di Bologna di introdurre la “città 30 km/h”.

La bozza di Direttiva è stata analizzata dall’avv. Tommaso Rossi, componente del Comitato tecnico scientifico della Fondazione, cercando di comprendere i princìpi che regolano la materia e le lacune dell’atto.

La Direttiva richiama l’articolo 7 del Codice della Strada, che concede ai Comuni il potere di adottare disposizioni sulla circolazione nei centri abitati, sottolineando la necessità di bilanciare il diritto alla mobilità con le esigenze di sicurezza, tutela dell’ambiente e pubblica sicurezza. Il Ministero collega questa disposizione all’art. 142 del Codice della Strada sui limiti di velocità, che stabilisce un limite massimo di 50 km/h nelle strade urbane, con la possibilità di aumentare fino a 70 km/h previa segnaletica appropriata.

La Direttiva richiama anche l’art. 141 co. 6 del Codice della Strada, che vieta la circolazione a una velocità che costituisca un intralcio o un pericolo per il flusso normale del traffico. Il Ministero sostiene che limiti di velocità generalizzati eccessivamente bassi potrebbero causare problemi al traffico e danneggiare l’ambiente, affermando che fissare limiti generalizzati nel contesto urbano sarebbe arbitrario.

Il Ministero cita una circolare datata del 1979 per sostenere l’armonizzazione tra sicurezza e scorrevolezza del traffico nella fissazione dei limiti di velocità in punti specifici. Infine, la Direttiva delinea criteri per le deroghe al limite di velocità di 50 km/h, indicando che devono essere chiaramente identificate in base a condizioni specifiche. Le ordinanze dei comuni devono fornire una metodologia per la determinazione dei limiti di velocità per ogni strada, con una motivazione specifica che tenga conto di vari indicatori, tra cui tasso di incidentalità, condizioni urbane e esigenze temporanee legate a eventi speciali o flussi turistici.

L’articolo critica la bozza di Direttiva del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti che regola le deroghe al limite di velocità nelle strade urbane. L’autore sostiene che la Direttiva, citando l’art. 6 del Codice della Strada, è erronea in quanto questa norma riguarda la regolamentazione della circolazione fuori dai centri abitati e non stabilisce la necessità di oneri della prova e motivazione specifica da parte dei Comuni per le deroghe al limite di velocità. Inoltre, l’autore evidenzia che l’art. 142 del Codice della Strada consente l’introduzione delle “zone 30” e che la Direttiva misconosce il fatto che i limiti di velocità possono essere stabiliti senza specifica motivazione, secondo il Codice della Strada.

L’autore sottolinea l’importanza dell’art. 141 del Codice della Strada, che richiede ai conducenti di regolare la velocità per evitare pericoli, e del principio generale di sicurezza stradale e mobilità sostenibile espresso dall’art. 1 del Codice. La critica si estende alla citazione della direttiva del 1979, considerata fuorviante e anacronistica, e al richiamo dell’art. 141 co.6, che secondo l’autore non si applica alle situazioni in cui il limite di velocità è esteso a tutti i veicoli in un tratto di strada.

Infine, l’autore contesta l’affermazione della Direttiva che limiti di velocità eccessivamente ridotti possano essere dannosi per l’ambiente, sostenendo che una velocità media più bassa in città favorisce una riduzione del traffico e delle emissioni di CO2. Nel caso delle “Città 30 km/h”, l’autore sostiene che la Direttiva non comprende correttamente la distinzione tra strade con limite di 50 km/h e quelle con limite di 30 km/h, ignorando le condizioni circostanti e l’obiettivo di tutelare l’incolumità delle persone.

L’articolo illustra il sistema di fonti del diritto italiano, indicando i livelli gerarchici che vanno dai principi costituzionali fino agli usi e consuetudini. Sottolinea la posizione delle Direttive ministeriali al di fuori del sistema delle fonti. Analizza inoltre la gerarchia tra le fonti, evidenziando la prevalenza delle fonti di rango superiore.

Successivamente, l’articolo affronta l’analisi dell’illegittimità della Direttiva del Ministro Salvini riguardante le zone a 30 km/h. Sostiene che la Direttiva non può agire retroattivamente su Comuni che hanno già attuato le previsioni relative alle zone a 30 km/h come Bologna e che è discutibile che possa rappresentare un’imposizione cogente per i Comuni in futuro. L’autore evidenzia le incongruenze della Direttiva con le norme del Codice della Strada, sottolineando che essa sembra sostituirsi in modo illegittimo alle fonti primarie e secondarie. Inoltre, sostiene che la Direttiva entra in conflitto con le Direttive comunitarie in materia di sicurezza stradale e altre norme interne di rango inferiore, come il Piano Nazionale della Sicurezza Stradale.

Il Piano Nazionale per la Sicurezza Stradale 2030, approvato nel 2022, focalizza l’attenzione su diverse iniziative per promuovere la mobilità dolce e garantire maggiore sicurezza sulle strade. Tra gli obiettivi principali, si evidenzia l’aspirazione a “Zero vittime” attraverso azioni mirate nei prossimi dieci anni. Il piano propone investimenti significativi nella cultura della sicurezza, con particolare attenzione alla formazione nelle scuole per ridurre comportamenti rischiosi e aumentare il rispetto reciproco, specialmente per utenti vulnerabili come ciclisti e anziani.

Il Piano riflette la conformità alle risoluzioni comunitarie e trattati internazionali, quali l’Agenda 2030 dell’ONU, che sottolinea la sicurezza stradale come prerequisito per uno sviluppo sostenibile. Presenta azioni specifiche per ridurre incidenti riguardanti categorie a maggior rischio e mira a una riduzione del 50% di morti e feriti gravi entro il 2030 rispetto al 2019.

Inoltre, il Piano si allinea con le direttive dell’UE e le risoluzioni ONU sulla sicurezza stradale, includendo la gestione della velocità, suggerendo limiti di 30 km/h in aree residenziali e ad elevata presenza di ciclisti e pedoni. Si riferisce anche a documenti internazionali come il Piano di Azione dell’UNECE per il decennio 2021-2030, che enfatizza un approccio olistico al “Safe System” basato su miglioramenti infrastrutturali, sicurezza veicolare, regolamentazione e assistenza post-incidente e, relativamente alla velocità in ambito urbano, evidenzia che l’eccesso di velocità è un fattore chiave negli incidenti stradali, invitando alla definizione di limiti sicuri, come 30 km/h nelle zone residenziali e con alta presenza di utenti vulnerabili. Invita gli Stati membri a prioritizzare investimenti nel controllo della velocità e ad applicare sanzioni dissuasive per migliorare la sicurezza stradale.

Con questo articolo, che vi invitiamo a leggere nella versione completa (CLICCA QUI) abbiamo cercato di elencare in maniera tecnica e non ideologica moltissimi buoni motivi per considerare la Direttiva “Salvini” non un buon intervento ministeriale, che laddove portato avanti ai Giudici amministrativi avrebbe ben poche possibilità di “resistere”. Il tempo, come sempre, darà le risposte.

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